CLARK / HUTCHINSON
A=MH²
Decca Nova LP code SDN2
1969
Tarda psichedelia strumentale per questo duo che si vantava all'epoca d'essere una "orchestra
sinfonica elettrica"; affermazione sopra le righe dettata dai fumi
dell'alcol o da visionarie esternazioni post-acid trip.
Questi allucinati del rock erano Andy Clark e Mick Hutchinson, gia collaboratori dell'istrionico percussionista Sam Gopal e musicisti live alla corte
dei "Vamp" presso l'Ufo Club, si spartivano le parti di
basso, percussioni (poche), tastiere (organo e piano) e chitarre (due
elettriche per l'esattezza) durante le dodici ore di sessioni libere
al Sound Studio di Londra nel maggio del '69. Da
queste vennero prelevati tutti i brani che compongono "A=MH(2)" pubblicato dalla "Nova" succursale pazzerella della
prestigiosa "Decca"
inglese sempre nel 1969; il DJ John Peel
sull'intervento personale allegato ai crediti affermava che dopo aver
assaporare questa musica vi chiederete perché non sia successo prima
(???esagerazione commerciale o sincerità???). John Peel era amico personale dei due musicisti in questione, erano
stati infatti invitati qualche volta a suonare dal vivo durante la sua
trasmissione radiofonica alla BBC;
dal vivo "Clark & Hutchinson"
erano meno radicali e non rinnegavano le personali radici blues
dipingendole con vena psichedelica dai rimandi indiani.
L'album in questione è una bagarre
elettrica maggiormente vicina al minimalismo che al sound
psichedelico propriamente detto, le influenze primarie derivano dal sistema
d'improvvisazione su scale classiche, su scale indiane, e dal flamenco
spagnolo. Il risultato è un atmosferico viaggio tra le intimistiche
divagazioni strumentali dei due, il trucco è pressa poco sempre
lo stesso, un accordo o nota pulsante quasi a declamare il battito di un cuore
in fibrillazione sopra al quale si eseguono figure ritmiche e armoniche, le
stesse aumentano il proprio volume nel tempo senza mai modificare troppo la
sostanza pura dell'evento, da qui la mia convinzione di trovarmi innanzi ad un
curioso esperimento di minimalismo accademico eseguito con strumenti rock.
È su questa rotta il lungo
pezzo che apre il disco: "Improvisation
On A Modal Scale"; per la chiusura utilizzarono invece le
differenti scale indiane ("Improvisation
On An Indian Scale"), nella musica orientale infatti i quarti
di tono sono di normale utilizzo. "Acapulco
Gold" costituito da sette minuti di flamenco
acido interamente improvvisati con due chitarre, la tecnica è
buona anche se non eccelsa; "Impromptu
In E Minor" e "Textures
In 3/4" sono altre due lunghe jam simili in questo caso perché
improntate su tempi percussivi dispari che si rivelano tra l'altro fortemente
ipnotici, altri interventi strumentali continuano a sommarsi senza mai
raggomitolarsi in effetti cacofonici disturbanti. Il
pregio di questa proposta sperimentale è infatti quello di risultare
estremamente lineare e godibile senza cadere facilmente su irritanti
distorsioni soniche; nei lavori successivi (gli album "Retribution" e "Gestalt"), i due allargarono il
collettivo e ritornarono a proporre un blues canonico senza troppi incantesimi.
Nessun commento:
Posta un commento