sabato 22 settembre 2012

Clark and Hutchinson - A=MH(2)



CLARK / HUTCHINSON
A=MH²
Decca Nova LP code SDN2
1969


Tarda psichedelia strumentale per questo duo che si vantava all'epoca d'essere una "orchestra sinfonica elettrica"; affermazione sopra le righe dettata dai fumi dell'alcol o da visionarie esternazioni post-acid trip.
Questi allucinati del rock erano Andy Clark e Mick Hutchinson, gia collaboratori dell'istrionico percussionista Sam Gopal e musicisti live alla corte dei "Vamp" presso l'Ufo Club, si spartivano le parti di basso, percussioni (poche), tastiere (organo e piano) e chitarre (due elettriche per l'esattezza) durante le dodici ore di sessioni libere al Sound Studio di Londra nel  maggio del '69. Da queste vennero prelevati tutti i brani che compongono "A=MH(2)" pubblicato dalla "Nova" succursale pazzerella della prestigiosa "Decca" inglese sempre nel 1969; il DJ John Peel sull'intervento personale allegato ai crediti affermava che dopo aver assaporare questa musica vi chiederete perché non sia successo prima (???esagerazione commerciale o sincerità???). John Peel era amico personale dei due musicisti in questione, erano stati infatti invitati qualche volta a suonare dal vivo durante la sua trasmissione radiofonica alla BBC; dal vivo "Clark & Hutchinson" erano meno radicali e non rinnegavano le personali radici blues dipingendole con vena psichedelica dai rimandi indiani.
L'album in questione è una bagarre elettrica maggiormente vicina al minimalismo che al sound psichedelico propriamente detto, le influenze primarie derivano dal sistema d'improvvisazione su scale classiche, su scale indiane, e dal flamenco spagnolo. Il risultato è un atmosferico viaggio tra le intimistiche divagazioni strumentali dei due, il trucco è pressa poco sempre lo stesso, un accordo o nota pulsante quasi a declamare il battito di un cuore in fibrillazione sopra al quale si eseguono figure ritmiche e armoniche, le stesse aumentano il proprio volume nel tempo senza mai modificare troppo la sostanza pura dell'evento, da qui la mia convinzione di trovarmi innanzi ad un curioso esperimento di minimalismo accademico eseguito con strumenti rock.
È su questa rotta il lungo pezzo che apre il disco: "Improvisation On A Modal Scale"; per la chiusura utilizzarono invece le differenti scale indiane ("Improvisation On An Indian Scale"), nella musica orientale infatti i quarti di tono sono di normale utilizzo. "Acapulco Gold" costituito da sette minuti di flamenco acido interamente improvvisati con due chitarre, la tecnica è buona anche se non eccelsa; "Impromptu In E Minor" e "Textures In 3/4" sono altre due lunghe jam simili in questo caso perché improntate su tempi percussivi dispari che si rivelano tra l'altro fortemente ipnotici, altri interventi strumentali continuano a sommarsi senza mai raggomitolarsi in effetti cacofonici disturbanti. Il pregio di questa proposta sperimentale è infatti quello di risultare estremamente lineare e godibile senza cadere facilmente su irritanti distorsioni soniche; nei lavori successivi (gli album "Retribution" e "Gestalt"), i due allargarono il collettivo e ritornarono a proporre un blues canonico senza troppi incantesimi.


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