giovedì 20 settembre 2012

Tonto's Expanding Head Band - Zero Time



TONTO’S EXPANDING HEAD BAND
ZERO TIME
Atlantic Records K040251
1971

 
L'ideale maglia di congiungimento tra la psichedelia spirituale dei '60 e la musica elettronica dei '70 è sicuramente l'album dei "Tonto's Expanding Head Band", "Zero Time" che venne pubblicato nel 1971 dalla "Atlantic Records" e rappresenta uno dei progetti più innovativi del periodo.
La band, in realtà un duo di sintetisti, era la risposta americana alla musica elettronica europea, si poneva sopratutto come valida alternativa al marasma di prodotti tedeschi sul generis; a differenza dei "Tangerine Dream" le loro esplorazioni cosmiche sono meno statiche, più fresche e colorate. Il duo era composto da Robert Margouleff e Malcolm Cecil, singolari personaggi provenienti dalla New York tecnologica, il loro strumento preferito un colossale assemblato della Moog costituito da un modulare serie III sommato a centinaia di controller e sistemi secondari. Quello che più affascina però non è la suntuosa attrezzatura, per altro di proprietà del Mediasound studio di New York, ma la forza visionaria degli stessi musicisti, impiegati entrambi nell'improvvisare linee melodiche ad effetto e figure fantasiose in una esecuzione ripresa per lo più in diretta.
"Zero Time" anticipa gran parte delle soluzioni elettroniche dei tempi a venire, ad esempio nel cadenzato pop sintetico di "Timewhys" che precede di quattro anni i bozzetti dei "Cluster" di "Zuckerzeit", e ancora "Aurora", facilmente scambiabile per un'opera ambientale di Brian Eno, che dire poi di "Cybernaut", una versione elegante di certa musica cosmica europea. Margouleff e Cecil accettarono un giusto compromesso e cioè gestire con gusto i sintetizzatori senza strafare con sofismi inutili, divenendo in questo modo i capostipiti di una folta schiera di strumentisti elettronici che dalla macchina non cavarono solamente rumore ma anche musica e idee originali. L'alea più colta i due la raggiunsero con il lungo raga intitolato "Riversong", si tratta di una poesia con musica indiana sempre generata dal sinth, anche la voce dovette oltrepassare l'interno dei circuiti elettronici si che par sia il Moog a cantare e non l'uomo.
Meno librante e più tenero l'ultimo pezzo, "Tama", che ricalca alcune soundtrack del periodo con un soffio di brezza e uno sciabordare d'onde, effetti che sarebbero divenuti d'uso comune nel pop elettronico, da Jean-Michel Jarre ai musicisti new age degli anni '80.





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